Vi avvisiamo che nella pagina filmati è da oggi disponibile la ripresa integrale della prima lezione dell’edizione 2013, tenuta da Alberto Meschiari su Anima e corpo in Platone.
Lunedì prossimo parliamo di “Anima e corpo in Platone” con Alberto Meschiari
19 FebCome ci aiuta la filosofia di Platone, dopo secoli,
a pensare l’opposizione fra anima e corpo?
In anteprima, vi forniamo una traccia della lezione che Alberto Meschiari terrà lunedì 25 febbraio durante il primo incontro della nuova edizione di “Pensare la vita”:
Dal Cratilo di Platone (400):
Indagando il significato dei nomi, a un certo punto viene in questione il termine corpo (soma).
Dice Socrate: «alcuni lo intendono come sema, “tomba dell’anima”, in quanto v’è sepolta durante la vita terrena; e perché d’altronde l’anima per mezzo del corpo semainei, significa ciò che vuol significare, esso è giustamente denominato sema nel senso di segno. Senonché io son d’avviso che il nome glielo abbiano posto Orfeo e i suoi seguaci, in quanto l’anima vi espia quei peccati che deve espiare, ed abbia quest’involucro, immagine d’un carcere, affinché si salvi; onde sia per l’anima, fino a che non abbia pagato il suo debito, appunto quello da cui prende il nome, un soma, un mezzo di salvamento».
Dal Fedone (66 d-e; 67 d):
Dice Socrate: «se mai vogliamo conoscere qualche cosa nella sua purezza, dobbiamo separarci dal corpo e guardare le cose in sé con la sola anima. E a quanto pare, solo allora, cioè dopo la morte e non finché siamo in vita […] avremo ciò che desideriamo e di cui ci dichiariamo amanti, cioè la sapienza. […] E non è proprio questo che si chiama morte: liberazione e separazione dell’anima dal corpo? […] e l’esercizio dei filosofi è proprio questo: liberazione e separazione dell’anima dal corpo».
Forse continuiamo ancora oggi ad amare Platone perché è il filosofo che ha razionalizzato due grandi speranze: la speranza di una sopravvivenza oltre la morte, grazie all’ipotesi dell’immortalità dell’anima; e quella di una perfettibilità della convivenza umana sulla terra e dell’affermarsi del “regno della giustizia”.
Il superamento della morale dell’eroe omerico, fondata sull’esercizio della forza, seguì in Grecia due strade che nel V secolo si intersecarono nella figura di Socrate: per un verso la politicizzazione del problema morale con la fondazione della polis e l’elaborazione del pensiero della legge; per un altro l’interiorizzazione del problema morale attraverso il recupero dalla tradizione orfico-pitagorica del pensiero dell’anima e la sua rielaborazione ad opera di Platone. È in questo contesto che anima e corpo vengono via via perfezionando il loro significato e la loro interazione.
Convinto che nessuno che conosca il bene, opererà il male, Socrate oppone l’idea di un’anima pura al corpo come punizione. Questa, agli occhi di Platone, è la debolezza della sua etica. Socrate non coglie la lezione della tragedia greca, che mette in scena il conflitto interno all’anima stessa: passioni violente come l’odio e l’amore, che agiscono dentro di essa e non fuori nel corpo, sono sufficienti a travolgere ogni ragionevolezza. Platone cercherà la soluzione del problema su un piano politico, mettendo in relazione il conflitto interno all’anima con il conflitto interno alla polis.